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ADERENZA TERAPEUTICA NELL’ARTRITE REUMATOIDE: IL CONTRIBUTO DEL FARMACISTA


Epidemiologia
L’artrite reumatoide (AR) è una malattia infiammatoria cronica autoimmune che colpisce principalmente le articolazioni, compromettendone la funzionalità e causando dolore e rigidità.
Diffusa a livello globale, la sua prevalenza è stimata intorno all’1% della popolazione generale, con circa 400.000 casi in Italia, pari a un malato ogni 250 abitanti. Questa malattia colpisce in misura nettamente maggiore le donne, con un rapporto di incidenza di 3-4:1 rispetto agli uomini.
Sebbene possa insorgere a qualsiasi età, è più frequente tra i 40 e i 50 anni, con manifestazioni che possono presentarsi anche durante l’infanzia o in età avanzata. L’AR ha un impatto significativo sulla vita quotidiana dei pazienti: molti di loro sono costretti a rinunciare alla propria attività lavorativa e a fronteggiare difficoltà nelle relazioni sociali, con una conseguente riduzione della qualità della vita.
Dal punto di vista socio-economico, le ripercussioni dell’AR sono ingenti: ogni anno si stima che la malattia sia responsabile di oltre 13 milioni di giornate di assenza dal lavoro. I costi diretti per l’assistenza sanitaria legata alla patologia ammontano a circa 1 miliardo e 400 milioni di euro all’anno, mentre i costi indiretti, dovuti alla perdita di produttività, si aggirano intorno ai 981 milioni di euro. Un peso economico rilevante, che evidenzia l’urgenza di strategie efficaci per la diagnosi precoce e la gestione ottimale della malattia.
Fattori di rischio
La predisposizione genetica e la storia familiare influenzano significativamente il rischio di sviluppare la malattia: l’incidenza dell’AR risulta infatti 3,02 volte maggiore in coloro che hanno un genitore affetto e 4,64 volte maggiore in chi ha fratelli con la stessa patologia, rispetto a chi non ha parenti di primo grado con AR.
Anche fattori ambientali e lo stile di vita possono influenzare l’insorgenza della malattia.
Oltre al fumo di sigaretta, che rappresenta uno dei principali fattori di rischio e può quasi raddoppiare la probabilità di sviluppare la malattia, anche l’esposizione a inquinanti atmosferici e sostanze chimiche industriali, come la polvere di silice, è stata associata a un aumento della suscettibilità all’AR.
Inoltre, alcune infezioni croniche e alterazioni della flora batterica intestinale sembrano contribuire all’attivazione della risposta autoimmune.
L’obesità e un’alimentazione squilibrata, caratterizzata da un eccesso di grassi saturi e zuccheri raffinati, sono poi anch’essi elementi predisponenti, mentre uno stile di vita sedentario può aggravare il quadro infiammatorio.
Al contrario, studi recenti suggeriscono che la dieta mediterranea, grazie alle sue proprietà antinfiammatorie e alla ricchezza di acidi grassi omega-3 e polifenoli, potrebbe avere un effetto protettivo, contribuendo a ridurre il rischio di sviluppo e progressione della malattia.
Ostacoli nell’aderenza terapeutica e impatto sulla qualità di vita
L’aderenza terapeutica è un fattore determinante per il controllo dell’artrite reumatoide (AR): la sua mancanza espone i pazienti a un maggior rischio di riacutizzazioni, dolore cronico, danni articolari progressivi e disabilità. Studi recenti confermano che parametri clinici fondamentali, come il punteggio di attività della malattia (DAS28), i marcatori infiammatori (ESR e CRP) e la funzionalità articolare, risultano significativamente migliori nei pazienti con una buona aderenza alla terapia, traducendosi in un miglioramento della qualità di vita. Tuttavia, mantenere un’aderenza costante rappresenta una sfida. Le cause della non aderenza possono essere involontarie o intenzionali. La prima è spesso legata alla dimenticanza o a difficoltà pratiche nell’assunzione del farmaco, che possono essere mitigate con strategie semplici come l’uso di promemoria digitali, post-it nei luoghi più visibili o l’associazione della terapia a una routine quotidiana. La non aderenza intenzionale, invece, è più complessa, poiché spesso deriva da convinzioni personali sul rapporto rischio-beneficio della terapia. Alcuni pazienti temono gli effetti collaterali o percepiscono il farmaco come dannoso, portando a decisioni consapevoli di sospenderlo. Un esempio emblematico è l’uso più regolare dei FANS rispetto ai farmaci antireumatici, DMARD (Disease-Modifying Antirheumatic Drugs) : i primi forniscono un sollievo immediato e sono percepiti come sicuri, nonostante i rischi noti.
Un altro ostacolo è la percezione soggettiva della necessità del trattamento. I pazienti con un basso livello di attività della malattia (DAS 2.6-3.2) potrebbero ritenere di ‘stare abbastanza bene’ e rifiutare un’intensificazione della terapia, anche quando il medico la raccomanda per prevenire il peggioramento della patologia. Senza un dialogo aperto e continuo tra pazienti e operatori sanitari, si rischia di perdere opportunità preziose per ottimizzare il trattamento. Studi recenti dimostrano che una comunicazione efficace tra professionisti sanitari e pazienti, unita a un’educazione adeguata, può ridurre le resistenze e migliorare il coinvolgimento attivo nella gestione della malattia.
Ruolo del farmacista: evidenze cliniche
Il riconoscimento della non aderenza è il primo passo per affrontarla efficacemente. I farmacisti, grazie alla loro vicinanza e al rapporto di fiducia con pazienti, possono giocare un ruolo chiave nel migliora la consapevolezza, offrire strategie pratiche e supporto personalizzato.
Uno studio prospettico pilota, condotto presso la Penn State Health Specialty Pharmacy tra settembre 2023 e febbraio 2024, ha dimostrato come un approccio proattivo, guidato dai farmacisti, possa migliorare significativamente l’aderenza terapeutica nei pazienti con artrite reumatoide (AR). Attraverso l’utilizzo di un modello di valutazione del rischio basato su TherigySTM (CPS Solutions), i pazienti sono stati stratificati in categorie di rischio basso, medio o alto di non aderenza. Coloro che rientravano nelle fasce di rischio medio o alto sono stati segnalati per un intervento mirato da parte dei farmacisti, con l’obiettivo di prevenire le criticità legate alla mancata aderenza prima che si manifestassero. L’intervento ha previsto chiamate cliniche personalizzate, durante le quali i farmacisti hanno fornito supporto educativo, risposto ai dubbi sulla terapia e proposto soluzioni pratiche per superare le barriere all’aderenza. Tra i 57 pazienti identificati a rischio, 35 hanno ricevuto queste chiamate, e al termine del programma pilota di sei mesi, il 66% ha mostrato un miglioramento della categoria di rischio: il 9% è passato a rischio medio e il 57% a rischio basso.
L’analisi dei dati ha evidenziato le principali problematiche che ostacolavano l’aderenza terapeutica nei pazienti coinvolti:
• 28% presentava un regime terapeutico subottimale, necessitando di un adeguamento della terapia.
• 26% richiedeva un monitoraggio più attento per garantire un utilizzo sicuro ed efficace dei farmaci.
• 24% presentava barriere all’aderenza, tra cui difficoltà nell’assunzione regolare del farmaco o scarsa comprensione della terapia.
• 19% aveva già manifestato episodi di non aderenza, necessitando di un intervento immediato.
• 3% ha riportato eventi avversi ai farmaci, rendendo necessaria una revisione terapeutica.
Il dott. Talabi, autore dello studio, ha sottolineato il ruolo essenziale dei farmacisti nel supportare l’aderenza terapeutica, evidenziando in particolare l’importanza della loro azione educativa e di monitoraggio. Informare i pazienti sulla sicurezza dei farmaci, aiutarli nella gestione degli effetti collaterali e guidarli nella corretta tempistica di assunzione rappresenta un valore aggiunto fondamentale per garantire il successo della terapia
Modello applicabile a pazienti vulnerabili
Un aspetto particolarmente rilevante emerso dallo studio è la possibilità di applicare questo modello a gruppi di pazienti specifici.
Ad esempio, nelle donne in gravidanza affette da AR, il timore di esporre il feto ai farmaci può indurle a interrompere la terapia, con potenziali ripercussioni negative sulla loro salute.
Un programma strutturato di educazione e supporto personalizzato, condotto dai farmacisti, potrebbe contribuire a dissipare questi timori, favorendo una maggiore aderenza terapeutica.
Analogamente, i pazienti con scarsa alfabetizzazione sanitaria potrebbero beneficiare di un contatto diretto e costante con il farmacista, che può fornire spiegazioni chiare e accessibili, aiutandoli a comprendere meglio il valore e l’importanza della terapia.
Conclusioni
Lo studio evidenzia come gli interventi guidati dal farmacista possano ridurre significativamente il rischio di non aderenza nei pazienti con AR, migliorando gli esiti clinici e la qualità di vita.
L’implementazione di modelli simili su scala più ampia potrebbe rappresentare un’evoluzione importante nell’approccio terapeutico all’AR, promuovendo un’assistenza più personalizzata e multidisciplinare.
Fonti:
•Venetsanopoulou AI, Alamanos Y, Voulgari PV, Drosos AA. Epidemiology and Risk Factors for Rheumatoid Arthritis Development. Mediterr J Rheumatol. 2023 Dec 30;34(4):404-413. doi: 10.31138/mjr.301223.eaf. PMID: 38282942; PMCID: PMC10815538.
•https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/rheumatoid-arthritis
•Malattie Reumatiche: disabilità, impatto sul lavoro e costi sociali- Osservatorio Sanità e Salute
•Chowdhury T, Dutta J, Noel P, et al. An Overview on Causes of Nonadherence in the Treatment of Rheumatoid Arthritis: Its Effect on Mortality and Ways to Improve Adherence. Cureus. 2022;14(4):e24520. Published 2022 Apr 27. doi:10.7759/cureus.24520
•https://naspnet.org/wp-content/uploads/2024/09/81-DTS81-OR-Poster-AM24.pdf