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13 maggio 2010
di
Rif. rivista Giugno 2010

Stiamo assistendo a un dribbling funambolico da parte delle banche, con il risultato che oggi costa molto di più andare in rosso, soprattutto per coloro che utilizzano il fido occasionalmente.

CARA, ANZI CARISSIMA BANCA - Gestione finanziaria

Un dato è certo: le banche vincono sempre, o quasi. L'art. 2/bis, comma 1, del d.l. 185/2008 ha abolito - come sappiamo - la possibilità da parte degli istituti bancari di applicare la famigerata commissione di massimo scoperto sui conti correnti in rosso, in aggiunta al normale tasso di interesse debitore solitamente concordato con il correntista per l'utilizzo del denaro. Tale commissione, si ricorderà, veniva applicata sulla punta massima di utilizzo del fido nell'arco di ciascun trimestre e addebitata sul conto corrente con pari periodicità in occasione della liquidazione trimestrale degli interessi e delle spese. Il balzello era tuttavia subdolo - e questo è uno dei motivi che ne ha comportato, almeno sulla carta, la soppressione - proprio per ché aveva come base di calcolo il picco massimo, magari occasionale, di utilizzo del fido. In questi anni si sono infatti verificati casi eclatanti di TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale, corrispondente al costo effettivamente e globalmente sostenuto per l'utilizzo del denaro costituito dalla somma del tasso nominale, della commissione di massimo scoperto, delle spese per il rinnovo della pratica di affidamento e dall'effetto della capitalizzazione trimestrale degli stessi) pari addirittura al doppio, al triplo, o peggio ancora, del TAN (Tasso Annuo Nominale, corrispondente invece al solo tasso debitore concordato con la banca per lo scoperto di conto corrente): ad esempio, era stato magari concordato un tasso debitore del 3,50% ma, in realtà, il denaro finiva per essere "pagato" anche il 7%, o il 10%, se non il 14%, e così via. Ora, le banche hanno reagito alla soppressione della commissione di massimo scoperto inventando dal nulla la novella "commissione per la disponibilità dei fondi", e cioè una remunerazione per la semplice messa a disposizione del denaro, che il cliente-correntista deve pagare sol per ché, appunto, l'istituto si impegna a rendergli utilizzabili le somme. In buona sostanza, si è passati da un sistema nel quale il correntista pagava la commissione nel solo caso di effettivo utilizzo del fido ad un nuovo sistema in cui la commissione viene applicata persino come una spesa fissa, e quindi anche quando nel trimestre, poniamo, il fido non sia stato minimamente utilizzato. Come si vede, stiamo assistendo a un dribbling funambolico da parte delle banche, con il risultato che oggi costa molto di più andare in rosso, soprattutto per coloro che utilizzano il fido occasionalmente, per tacere dei casi in cui il fido concesso dalla banca rappresenti una mera ragione di serenità finanziaria, senza dunque essere nel concreto mai utilizzato. Una limitazione a questo autentico balzello, seppur parziale, è intervenuta con il d.l. 78/2009 che ha introdotto un "tetto" alla nuova commissione pari allo 0,50% trimestrale dell'importo affidato. Questo vuol dire in pratica che, pur trascurando l'effetto della capitalizzazione del costo, con la semplice moltiplicazione di questo 0,50% per i quattro trimestri compresi in un anno solare il malcapitato viene a pagare una commissione del 2% annuo, cosicché coloro che, per abitudine o necessità o altro, avevano un fido, ipotizzando, di euro 200.000, si trovano al momento a pagare una commissione di ben 4.000 euro l'anno. Per giunta, a questo esborso bisogna poi aggiungere, quasi sempre, il costo per il "rinnovo" annuale della pratica di affidamento che nella maggior parte dei casi oscilla tra 200 e 400 euro ogni 100.000 euro di fido, e quindi - tornando a quell'esempio - dovremo aggiungere un altro addebito di 400/800 euro. Come però è dato spesso vedere nei rapporti con le banche, anche la commissione per la disponibilità dei fondi può in fatto rivelarsi materia di contrattazione e anzi - sia pure in evenienze del tutto particolari - è stato anche convenuto con la banca addirittura la non applicazione, in radice, della commissione. Perlopiù, però, si paga da uno 0,20% fino al ricordato "tetto" dello 0,50% trimestrale. In ogni caso, per una migliore cognizione del costo effettivamente pagato per l'utilizzo del denaro, e anche per confrontare le condizioni praticate dai diversi istituti di credito, possiamo ricorrere alla formula: totale addebito trimestrale X 365 X 100: totale numeri debitori dove per "totale addebito trimestrale" si intende evidentemente la sommatoria di a) interessi passivi, b) commissione per la disponibilità dei fondi e c) spese (eventuali) per il rinnovo della pratica di affidamento. Quanto al totale dei numeri debitori, lo potremo ricavare dal riassunto scalare allegato all'estratto conto trimestrale. Insomma, un bel costo per i bilanci anche delle farmacie, che ci costringe a tener conto adeguatamente della vera opportunità dell'affidamento, quanto della reale necessità del tale o talaltro suo ammontare. Del resto, la gestione finanziaria della farmacia non va più certo vista in modo, per così dire, "statico", perché i tempi attuali impongono una gestione "dinamica", con correzioni continue di rotta legate ai mutamenti degli scenari economici, legislativi e finanziari, e comunque adeguando volta a volta al caso specifico della singola farmacia la dilazione di pagamento ai fornitori, l'utilizzo o l'estinzione anticipata dei finanziamenti, la disponibilità o gli affidamenti bancari, l'anticipo o meno delle DCR, ecc. Un occhio, infine, per restare in tema, anche alle commissioni per il servizio POS, che, giova rammentarlo, non devono superare l'1,60% per le carte di credito e lo 0,60% per il pagobancomat.

Un piccolo passo verso la trasparenza

A partire dal prossimo 26 maggio gli istituti di credito saranno costretti - la disposizione proviene dalla Banca d'Italia - ad indicare l'ISC (Indicatore Sintetico di Costo) dei conti correnti e dei servizi ad essi connessi. I clienti sono stati divisi in sei diversi profili ufficiali di utilizzo del conto corrente, a ciascuno dei quali corrisponde un ISC medio, che ogni banca dovrà rendere noto all'interno della documentazione di trasparenza (un foglio informativo che è disponibile presso ogni filiale) e sul sito del "Consorzio Patti Chiari" dell'ABI, dove saranno confrontabili i dati forniti dai diversi istituti. In questo modo i correntisti potranno conoscere a priori il costo medio annuo espresso in euro per il proprio profilo di utilizzo, che tiene naturalmente conto delle caratteristiche dei clienti e del loro tipo di operatività (bassa, media o alta) in numero di operazioni per anno. Peccato che la novità riguardi solo i conti correnti ad uso, per così dire, "privato", essendo infatti esclusi così quelli delle imprese. Almeno per il momento.

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