Utifar
È TEMPO DI GUARDARE AVANTI: UN ENPAF PIÙ VICINO, PIÙ GIUSTO, PIÙ NOSTRO

Quando mi trovo a parlare tra colleghi, non è mia abitudine “tenere banco”, ma mi piace soprattutto ascoltare. Perché è ascoltando che si capiscono le cose importanti e l’ascolto, oggi, è la forma più concreta di rispetto e di colleganza.
Nel corso del tempo, confrontandomi con farmacisti di ogni età e ruolo, ho colto un tema ricorrente che, pur espresso in modi diversi, suscita sempre un malessere condiviso: il nostro rapporto con l’Enpaf. Dal titolare più esperto al collaboratore più giovane, non ho incontrato colleghi che parlino dell’Ente con serenità, tantomeno con orgoglio. Dovrebbe, invece, essere l’opposto: dovremmo sentirci fieri di avere una previdenza “nostra”, modellata sulle esigenze della categoria e in grado di rappresentare un presidio di solidarietà e protezione, un punto di riferimento nei momenti difficili, non un peso. Il problema, forse, è che l’Enpaf troppo spesso ci fa sentire oggetti, non soggetti: destinatari muti di comunicazioni rigide e impersonali, e non parte attiva di un sistema che dovrebbe tutelarci, accompagnarci e - quando serve - difenderci.
Eppure, è attiva la vigilanza dei Ministeri e la Fofi è presente nel CdA; ciò nonostante, quel legame di fiducia tra l’Ente e i suoi iscritti oggi è completamente assente.
L’Enpaf ha alle spalle una storia importante, ha superato momenti difficili e oggi si presenta solido.
Ma proprio questa ritrovata stabilità rende ancora più urgente una nuova fase, nella quale l’Ente torni ad essere sentito come parte integrante della nostra vita professionale, più vicino alle persone, più aderente ai cambiamenti della realtà lavorativa.
Quali sono allora le priorità da cui ripartire? Credo che, nel segno del dialogo, dell’inclusione e della responsabilità condivisa, i punti fondamentali siano:
1. una comunicazione chiara, moderna e orientata all’ascolto;
2. regole da rivedere, con criteri di equità e aderenza alla realtà;
3. un’assistenza modellata sulle esigenze degli iscritti;
4. il coinvolgimento attivo degli Ordini e delle rappresentanze territoriali.
Oggi più che mai, occorre ripensare il senso dell’appartenenza ad un Ente previdenziale.
Non un soggetto distante, ma una comunità di valori e di tutele.
Questo implica anche un cambio di linguaggio, di tono, di approccio: per far sentire ogni collega non un destinatario passivo, ma parte attiva di un progetto comune.
La sostenibilità economica dell’Ente è e deve restare un valore centrale. Ma non può essere l’unico parametro di valutazione. Perché un sistema è davvero sostenibile solo quando è anche giusto, accessibile e condiviso.
Citando il compianto Papa Francesco, oserei dire che c’è la necessità di un “cambio d’epoca”.
Occorre ripensare un Enpaf che sappia parlare ai suoi iscritti, e non sopra di loro.
Serve un Enpaf che non si limiti a funzionare, ma che accompagni, protegga, ispiri fiducia ai propri iscritti.
È questa la visione a cui guardo, con rispetto, con convinzione, e soprattutto con spirito di servizio. E sono certo che, insieme, potremo costruirla.