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ZUCCHERO AMARO: ARRIVA DAVVERO LA SUGAR TAX?


In Italia la sugar tax è diventata una presenza fantasma: se ne parla da anni, è stata scritta nero su bianco, ma la sua attuazione è stata rimandata più volte.
Eppure, in molti altri Paesi non solo è già in vigore, ma ha prodotto effetti misurabili. In Messico, ad esempio, una tassa simile ha ridotto gli acquisti di bevande zuccherate di oltre il 20%. In Cile e nel Regno Unito, dove le politiche fiscali si sono abbinate a campagne educative e riformulazioni da parte dei produttori, il consumo di zucchero è sceso in modo sensibile.
Anche senza proclami, l’intervento fiscale ha modificato le abitudini.
L’idea di fondo è semplice: rendere meno conveniente l’acquisto di bevande zuccherate per disincentivarne il consumo e favorire alternative più salutari. Ma non si tratta solo di una questione di prezzi. Quando le aziende si trovano davanti a un’imposta strutturale, come quella introdotta nel Regno Unito nel 2018, iniziano a ripensare le ricette. L’effetto è doppio: cala il contenuto di zucchero, scendono i rischi per la salute pubblica. Perché, anche se il consumatore non sempre cambia comportamento, spesso è il prodotto a cambiare per lui.
Questo approccio si basa su un dato difficile da ignorare: oggi, in Italia, il consumo medio di zuccheri semplici è stimato attorno agli 83 grammi al giorno per persona. Il limite raccomandato dall’OMS per una dieta da 2.000 kcal è 50 grammi. Siamo fuori soglia, stabilmente. E se si guarda in particolare alle bevande zuccherate, si parla di oltre 50 litri pro capite l’anno: l’equivalente di cinque chili di zucchero che spesso sfuggono all’attenzione, perché non sono nel cucchiaino del caffè, ma nel bicchiere del pranzo veloce o della merenda.
Chi lavora in farmacia vede quotidianamente gli effetti di un eccesso zuccherino che non fa rumore: obesità, prediabete, diabete di tipo 2, dislipidemie, malattie cardiovascolari. Le patologie si accumulano e si cronicizzano, mentre i consumi di zuccheri restano perlopiù invisibili, normalizzati, quasi intoccabili.
Ed è forse per questo che, in Italia, la sugar tax ha fatto fatica a vedere la luce. Pur essendo stata approvata già con la Legge di Bilancio del 2020, la sua entrata in vigore è slittata di anno in anno, sotto la spinta di ragioni economiche, pressioni industriali e una certa prudenza politica. Al momento, la data prevista è il 1° luglio 2025. Le aliquote saranno inizialmente ridotte: 5 euro per ettolitro sui prodotti finiti, 13 centesimi al chilo per quelli da diluire. Un’introduzione soft, che lascia spazio a un periodo di assestamento.
Le critiche non sono mancate. C’è chi sottolinea l’effetto regressivo della tassa, che colpisce soprattutto i redditi più bassi. Altri temono ricadute sull’industria alimentare e sull’occupazione. Ma se ci si ferma un momento, la vera questione è un’altra: vogliamo davvero che lo zucchero resti un problema strutturale della nostra dieta, senza strumenti concreti per contenerlo?
La sugar tax non è una bacchetta magica. Funziona solo se accompagnata da educazione alimentare, etichette trasparenti, promozione attiva di scelte consapevoli. Ma può essere un primo passo. E per chi lavora in ambito sanitario – come i farmacisti – è importante riconoscerne il valore potenziale: non come penalità, ma come leva di salute pubblica. Far parte di questo cambiamento significa anche essere pronti a spiegarlo, con competenza e spirito critico, a chi entra in farmacia e si chiede perché una lattina costi più di prima.