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11 luglio 2011
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Rif. rivista Giugno - Luglio 2011

L'osteoporosi si previene garantendosi, già dall'adolescenza, una robusta architettura attraverso una dieta equilibrata, sport e sane abitudini. In caso di terapia, ecco alcuni preziosi accorgimenti da seguire nell'assunzione cronica del farmaco.

L'osteoporosi non è una patologia ma una "condizione di rischio" caratterizzata da una riduzione della quantità e da un'alterazione della qualità dell'osso. Interessa circa cinque milioni di italiani: di questi tre milioni e mezzo sono donne e i restanti uomini. L'osteoporosi colpisce, dopo i cinquanta anni, una donna su due e un uomo su cinque e, il più delle volte, è difficile da riconoscere poiché non dà sintomi premonitori, diventando clinicamente evidente solo quando si verifica la frattura. Secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), nella sola Europa e negli Usa, questa condizione causa più di 2,3 milioni di fratture l'anno. Riferendosi alle sole fratture di femore, si stima che nel 1990 se ne siano verificate tra 1,3 e 1,7 milioni e che, nel 2025, si possa arrivare a 3 milioni. L'osteoporosi rappresenta un'emergenza sanitaria mondiale destinata ad assumere dimensioni ogni anno sempre più grandi, con importanti implicazioni sociali, economiche, oltre che sanitarie. L'allungamento dell'aspettativa di vita della popolazione rende, infatti, maggiormente evidenti quelle patologie che progrediscono e aumentano la loro gravità con il passare dell'età, come nel caso dell'osteoporosi.

Definizione e patogenesi

L'osteoporosi è "una malattia sistemica che colpisce lo scheletro, caratterizzata da una ridotta massa ossea e da un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo con conseguente aumento della fragilità ossea e rischio di frattura". Infatti, le persone che soffrono di questo disturbo sono maggiormente suscettibili alle fratture soprattutto di femore, vertebre e polso, con importanti implicazioni sulla loro qualità di vita. Le fratture causano spesso invalidità e un'aumentata mortalità, soprattutto tra gli anziani. Secondo un'indagine O.N.Da (Osservatorio Nazionale sulla salute della donna) del 2010, su un campione di 325 donne con fratture da femore, l'autonomia è stata compromessa per sempre nel 33 per cento dei casi, nel 40 per cento si sono rilevati disagi fisici e cognitivi (depressione, in particolare) e nel 7 per cento l'evento è stato addirittura causa di decesso. Basti considerare che i pazienti con frattura del femore prossimale presentano, nell'anno successivo, un tasso di mortalità del 15-30 per cento. Ogni anno, in Italia, si contano circa 80 mila fratture al femore: la maggior parte interessa persone di età superiore ai 50 anni che sono le più colpite dall'osteoporosi e dalla fragilità delle ossa che da questa ne deriva. Ci sono poi 200 mila fratture vertebrali annue che sono solo il 25 per cento delle totali: troppo spesso, questo tipo di frattura non viene diagnosticato poiché il dolore viene scambiato per un forte, ma semplice, mal di schiena e quindi non ci si rivolge al medico. La patogenesi dell'osteoporosi è multifattoriale: si parla, infatti, di osteoporosi primitiva oppure secondaria sulla base dei fattori scatenanti il disturbo. Sono considerate "primitive" le forme postmenopausali e senili, "secondarie" quelle determinate da un vasto numero di patologie e farmaci; un esempio sono le osteoporosi secondarie a malattie endocrino metaboliche, a condizioni legate a malassorbimento intestinale e a uso di dosi medio elevate di glucocorticoidi, immunosoppressori o terapia cronica con eparina. La menopausa (una donna su tre in questo particolare periodo della vita soffre di fragilità ossea), la gravidanza, l'uso di determinati farmaci come il cortisone, le diete ferree che fanno perdere molto peso in poco tempo, la scarsa attività fisica e diverse terapie antitumorali sono tutti elementi predisponenti all'osteoporosi. Tanti fattori, diversi tra loro, tutti collegati alla fragilità delle ossa. Come ogni patologia degenerativa anche l'osteoporosi può essere influenzata da una predisposizione genetica, ovviamente, non modificabile. Fortunatamente questa maggiore o minore vulnerabilità può essere efficacemente contrastata con un adeguato stile di vita, finalizzato a mantenere negli anni la maggiore densità ossea. Per questo è fondamentale impostare un corretto programma di prevenzione fin da giovanissimi: sport e sana alimentazione, niente fumo e alcol, con l'obiettivo di costruire uno scheletro robusto e raggiungere un elevato picco di massa ossea tra i 25-30 anni. Purtroppo i giovani non sono sempre consapevoli di questo e spesso considerano certe malattie come assolutamente lontane e improbabili. Un esempio su tutti l'eccessiva magrezza, raggiunta per fini estetici e conseguente a diete troppo strette durante l'adolescenza, è uno dei fattori di rischio dell'osteoporosi, in quanto può pregiudicare lo spessore delle ossa, mettendone a rischio la resistenza. Un regime alimentare troppo ferreo può, infatti, ridurre l'apporto di vitamina D, pregiudicando un sano sviluppo osseo. E a farne le spese sembrano essere in particolare le ragazze. Sensibilizzare e informare i giovani su questo tema e sulle regole basi per una prevenzione primaria dell'osteoporosi, potrebbe portare a una riduzione significativa dell'incidenza della malattia e del numero di fratture.

Alimentare l'osso

Tanto per cominciare, dobbiamo prevenire il massimale genetico di fragilità ossea cui una persona è predisposta, che si raggiunge intorno ai venticinque anni, con uno stile di vita adeguato. Un'alimentazione sana ed equilibrata che preveda il consumo di latte e derivati e un adeguato apporto di calcio, uniti a un'attività fisica costante, è quanto di meglio si può fare per prevenire l'osteoporosi. In caso di allergia ai latticini, si dovrebbe ricorrere all'assunzione di supplementi integrativi. In sostanza, per avere ossa robuste i latticini non devono mai mancare dalla dieta. La dose giornaliera raccomandata è di 500-1000 mg/die per il calcio e 800/1000 UI/die per la vitamina D, ma forse non tutti sanno che l'assorbimento del calcio presente nei prodotti di origine vegetale viene ostacolato dalle fibre presenti in questi alimenti. Per assicurarsi la giusta dose di calcio, quindi, un adulto dovrebbe consumare ogni giorno tre porzioni di latte o yogurt e ogni settimana tre porzioni di formaggi, come suggeriscono le "Linee guida per una sana alimentazione" redatte dall'Inran. Purtroppo l'introito medio giornaliero di calcio nella popolazione è insufficiente e ciò si associa ad aumentato rischio di osteoporosi e fratture. Ancora più preoccupante è l'incidenza di ipovitaminosi D nei soggetti a rischio per età. Soprattutto in menopausa, le donne dovrebbero garantirsi un apporto costante e regolare (o supplementare in caso d'indicazioni mediche), di alimenti ricchi di calcio e di vitamina D e per tutti, al fine di bloccare o rallentare la perdita di massa ossea, vale la regola generale di rinunciare a una vita sedentaria, praticare un'attività fisica e favorire un'alimentazione adeguata per apporto di vitamine e calcio oltre che evitare l'abuso di alcool e caffè. Una considerazione molto importante da fare nell'ambito della prevenzione secondaria con farmaci specifici: una carenza di calcio e vitamina D nella dieta è la causa più comune di mancata risposta alla terapia farmacologica e quindi la loro integrazione costituisce una premessa ineludibile al successo di qualsiasi trattamento farmacologico specifico. Oltre ai fattori legati allo stile di vita e all'integrazione alimentare, vi sono anche fattori di tipo ormonale che vanno considerati e corretti durante tutto l'arco della vita, dal menarca fino alla terza età. Le variazioni ormonali nell'uomo e nella donna possono giocare un ruolo fondamentale nel bloccare il processo di perdita di massa ossea e nel prevenire il rischio di frattura. Considerata la molteplicità dei fattori che influenzano la patogenesi dell'osteoporosi, per un'efficace prevenzione sono necessari l'intervento e l'attenzione di diverse figure mediche professionali nelle diverse fasi della vita del paziente: il ginecologo, l'endocrinologo, il medico di famiglia e tanti altri specialisti possono e devono intervenire nel corso della vita del paziente dando un consiglio, un suggerimento, una prescrizione terapeutica che favoriscano e mantengano nel tempo l'integrità dell'osso e, in ultima analisi, riducano il rischio di fratture. La prevenzione, quindi, non deve essere solo secondaria, attraverso la prescrizione di farmaci attivi nel ridurre la demineralizzazione ossea, ma soprattutto primaria, attraverso l'acquisizione di un bagaglio di conoscenze pratiche che possano indirizzare nelle varie fasi della vita a un comportamento sano e preventivo. Anche nel caso dell'osteoporosi, la miglior battaglia rimane quella della prevenzione primaria che si realizza, fin da giovanissimi, attraverso una alimentazione sana ed equilibrata, sane abitudini e regolare attività fisica. Nel caso di una prevenzione secondaria, quando la malattia è già conclamata e richiede l'assunzione di farmaci specifici, è fondamentale promuovere l'adesione alle terapie che, in questo caso, sono croniche e non vanno mai sospese. La sospensione della cura è la prima causa di mancata riuscita del trattamento, con conseguente esposizione del paziente a un altissimo rischio di fratture a carico delle vertebre e del femore. Qui entra in gioco la figura del medico e del farmacista che devono lavorare in sinergia per migliorare la compliance dei pazienti, sensibilizzandoli sull'importanza di curare l'osteoporosi per prevenire le fratture. Il farmacista inoltre può supportare il paziente e aiutare il successo della terapia insegnando come assumere correttamente i farmaci e per quanto tempo, ribadendo l'importanza dell'integrazione del calcio e vitamina D attraverso una dieta adeguata, per garantire il successo della risposta alla terapia farmacologica. Tutte le evidenze scientifiche suggeriscono di attuare la terapia farmacologica dell'osteoporosi prima ancora dell'episodio di frattura. In questo senso in Europa ci si muove però in modo differente da Paese a Paese, soprattutto in relazione alla rimborsabilità della terapia per i pazienti osteoporotici e in particolare per le donne. Ciò spiega in parte le differenti frequenze di frattura registrate nei Paesi mediterranei rispetto a quelli nord-europei.

BOX - FISIOPATOLOGIA DELL'OSTEOPOROSI

Lo scheletro svolge importanti funzioni vitali come il sostegno, il deposito di sali di calcio, l'emopoiesi e la protezione degli organi interni ed è quindi fondamentale cercare di mantenerlo in buono stato di salute. L'osso è un tessuto mineralizzato costituito da una matrice inorganica di minerali (idrossiapatite di calcio) in cui è dispersa una matrice organica di fibre di collagene (proteine); questi componenti, insieme alle cellule ossee, formano le unità biodinamiche dei processi di rimodellamento e riassorbimento (turnover osseo). Durante il corso della vita il tessuto osseo subisce le seguenti fasi di trasformazione:

• incremento della massa ossea conseguente alla crescita staturale;

• raggiungimento del picco di massa ossea (PMO): esso rappresenta la quantità di tessuto minerale osseo presente alla fine dell'accrescimento (1618 anni per le femmine e 20-22 per i maschi) ed è caratteristico per ciascun individuo;

• consolidamento fino all'età di 20-25 anni quando viene raggiunto l'assetto definitivo in termini di lunghezza delle ossa e robustezza;

• decremento della massa ossea: inizia tra i 35-45 anni nelle donne e tra i 40-50 anni nell'uomo e prosegue per tutta la vita.

BOX - TERAPIE FARMACOLOGICHE

I primi farmaci utilizzati nella cura dell'osteoporosi sono rappresentati dai farmaci antiriassorbitivi (bifosfonati e SERMs) che rallentano la progressione della malattia riducendo la perdita di osso. I farmaci di nuova generazione agiscono invece stimolando la ricostruzione ossea: è il caso del paratormone e del ranelato di stronzio.

FARMACI ANTIRIASSORBITIVI

Bifosfonati. Agiscono fissandosi alle superfici ossee sottoposte a rimodellamento, bloccando l'attività degli osteoclasti e riducendo così la progressiva perdita ossea. Per la loro intrinseca tendenza a depositarsi nel tessuto osseo, possono causare alterazioni persistenti, anche dopo interruzione della terapia con un effetto prolungato. Poiché il loro utilizzo sembra correlato a fratture gravi anomale del femore, l'Fda invita alla prudenza nella cura con bifosfonati per un periodo superiore ai cinque anni consecutivi.

SERMs

I modulatori selettivi del recettore estrogenico sono farmaci di sintesi in grado di legarsi al recettore per gli estrogeni e produrre effetti agonistici a livello osseo ed epatico e antagonistici a livello di mammella e apparato genitourinario. Tra i SERMs, il raloxifene e il più recente bazedoxifene vengono prescritti per prevenire la riduzione ossea in periodo postmenopausale e sono in grado di aumentare la densità ossea del 2-3 per cento in donne con osteoporosi. Sono controindicati in pazienti ad alto rischio di trombosi venosa in quanto il loro utilizzo è associato a un aumentato rischio di eventi tromboembolici.

FARMACI OSTEOFORMATORI

Il ranelato di stronzio agisce riequilibrando il metabolismo dell'osso, favorendo la formazione di osso nuovo. La struttura ossea migliora a livello trasecolare e corticale e, di conseguenza, aumenta la resistenza alle fratture. La somministrazione di 2g/die, come dimostrato in due studi randomizzati e controllati della durata di due anni, condotti su 7.000 donne, ha ridotto il rischio di fratture vertebrali e del femore (Osteoporos Int, settembre 2010). Il ranelato è in grado di provocare un aumento della massa ossea misurato con la Moc, in parte dovuto al maggior peso dello stronzio che si assorbe labilmente ai cristalli di idrossiapatite, in parte alla neoformazione dell'osso. Il farmaco ha una buona tollerabilità. In caso di reazione di ipersensibilità severa va sospeso.

PEPTIDI DEL PARATORMONE

Questi farmaci, somministrati per via sottocutanea, hanno un effetto anabolizzante osseo che si realizza per stimolazione degli osteoblasti. Essendo molto costosi, il loro utilizzo è riservato al caso di situazioni di elevato rischio (fratture multiple di vertebre o di femore) o di non risposta ai farmaci antiriassorbitivi. La terapia con peptidi del paratormone può causare frequenti disturbi di piccola entità (nausea, crampi agli arti inferiori) e aumentata incidenza di ipercalcemia, del tutto asintomatica.


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