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Editoriale
28 giugno 2013
di Eugenio Leopardi
Rif. rivista N. 5 Giugno - Luglio 2013
MANCATE RIFORME E BRUCIANTI DELUSIONI

Durante una delle tante discussioni con i colleghi che, in questo periodo, affiancano spesso il nostro lavoro, riflettevo che la nostra categoria, orami da anni, vive d'illusioni. Ne voglio citare tre, a mio giudizio macroscopiche. Abbiamo iniziato nel 2006, con le lenzuolate di Bersani, che hanno rappresentato il primo tentativo di riformare il sistema. In quel caso, molti colleghi hanno creduto, illusi da tante belle parole, che l'apertura di un esercizio di vicinato avrebbe rappresentato la via breve per ottenere la tanto desiderata farmacia. Nel luglio del 2008, nell'introduzione al loro disegno di legge di riordino del settore, i Senatori Tomassini e Gasparri si rivolgevano ai propri colleghi con queste parole: "Onorevoli Senatori - Negli ultimi anni sono state avanzate critiche al sistema regolatorio che impone norme rigide per l'istituzione di nuove sedi farmaceutiche e che, soprattutto, necessita di tempi lunghi per l'espletamento di farraginose procedure concorsuali. Molte competenze in materia di servizio farmaceutico sono delegate all'autorità regionale ma, soprattutto in considerazione delle peculiarità e della delicatezza del settore dei farmaci per la protezione della salute dei cittadini, appare necessaria l'adozione di una normativa-quadro nazionale che permetta di migliorare ulteriormente l'efficienza e la qualità del servizio evitando situazioni di stressata competitività commerciale che andrebbero solo a scapito degli aspetti professionali della distribuzione dei farmaci". Queste parole illusero tanti colleghi che auspicavano la revisione dell'ordinamento, ormai troppo datato, che regola la nostra professione. Anche in quell'occasione, abbiamo assistito a un nulla di fatto. Anche il Governo Monti non è stato da meno: ha bandito un concorso straordinario per assegnare molte sedi di nuova istituzione, con l'intento di favorire, anche attraverso le aggregazioni, i giovani farmacisti. A parte il fatto che un concorso per soli titoli difficilmente può favorire i giovani, tutti sappiamo che oggi questi concorsi rischiano la paralisi a causa di una serie di errori dettati dalla fretta di scrivere la norma, senza un riordino complessivo del sistema. Quante delusioni, ancora, dovrà sopportare la categoria prima di vedere una legge quadro che dia certezze e prospettive di lungo termine agli esercizi farmaceutici? Di certo, la questione dell'aumento o meno dell'Iva è molto importante. Senza dubbio, anche la revisione dell'Imu è una priorità. Per non parlare dell'Ilva e, più in generale, della tutela di chi ha un posto di lavoro a rischio e di chi non lo riesce a trovare. I problemi che il Governo di larghe intese deve affrontare sono moltissimi: sia di lungo respiro, come la revisione di importanti aspetti istituzionali, sia legati alla contingenza. Mi sento in dovere, tuttavia, di rivolgere un accorato invito al Ministro Beatrice Lorenzin affinché possa trovare, tre le molte emergenze che s'impongono all'attenzione dell'Esecutivo, gli strumenti per favorire un riordino del servizio farmaceutico che è fondamentale per il suo buon funzionamento; prima che siano i cittadini a pagare il conto delle mancate occasioni del passato e delle molte incongruenze che normative a spot hanno introdotto in questi ultimi anni. Dopo anni di contrapposizioni che hanno generato normative monche, forse solo un Governo di larghe intese può trovare il modo di riorganizzare il sistema. Speriamo che possa essere così e che i farmacisti tutti possano, finalmente, trasformare la delusione in speranza. In questa ottica, mi sento di rivolgere un sentito invito a tutti i colleghi, perché si siedano assieme, attraverso i loro rappresentanti, e provino a indicare un percorso per la nostra professione. Da una parte abbiamo un sistema di distribuzione che funziona, dall'altra abbiamo una professione che reclama la sua dignità. In questo momento di crisi bisogna che i farmacisti parlino la stessa lingua, dimostrando maturità e non astiosità. Eugenio Leopardi

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