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11 luglio 2011
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Rif. rivista Giugno - Luglio 2011

Il sistema sanzionatorio applicato alla farmacia è molto spesso non proporzionato e, nel suo insieme, non omogeneo. Questo deriva da un insieme di norme previste in momenti diversi e da aggiornamenti non coordinati tra loro

Se Cesare Beccaria (1738-1794) consultasse il sistema sanzionatorio che attualmente si applica alle infrazioni commesse dal farmacista nell'esercizio della professione, probabilmente aggiungerebbe un capitolo alla sua opera più nota: Dei delitti e delle pene. In questo scritto il Beccaria, importante esponente dell'illuminismo, sostenne quei principi che, almeno formalmente, ispirano oggi i più avanzati sistemi sanzionatori. Cosa scriverebbe lo si può allora immaginare leggendo Dei delitti e delle pene, opera nella quale, dopo avere condannato la pena di morte e la tortura quali rimedi inutili se non addirittura controproducenti nei confronti dei reati, afferma con decisione l'importanza della proporzionalità tra i delitti e le pene previste. Certo è che nel XVIII secolo tutto il sistema penale era basato sulla reclusione e le pene corporali, non essendo stato introdotto ancora il più raffinato concetto di illecito amministrativo, punito oggi con sanzioni pecuniarie e/o accessorie gravanti sul responsabile, senza un giudizio come conclusione di un processo. Nel nuovo capitolo, Cesare Beccaria prenderebbe ad esempio le sanzioni a carico del farmacista come sanzioni sbagliate, perché contrarie al concetto di proporzionalità tra il valore del bene sociale calpestato commettendo l'illecito e la sanzione relativa. La principale funzione sociale della pena è infatti quella di deterrente a cadere nell'illecito ovvero a ricadervi una seconda volta. L'azione deterrente non è però determinata dall'entità della pena ma dalla certezza della pena. In tutti gli ambiti, a partire da quello relativo alla circolazione stradale per finire nell'esercizio professionale, basterebbero infatti pene lievi ma certe. Abbiamo tratto ispirazione, per questo articolo, dalla osservazione di come, a seguito di modifiche legislative, aggiornamenti e adeguamenti, le sanzioni che colpiscono il farmacista per le infrazioni commesse, abbiano raggiunto, negli ultimi anni, il massimo della sproporzione. Essendo il sistema sanzionatorio ormai basato quasi tutto sulle sanzioni amministrative, è utile riportare due casi a titolo puramente esemplificativo del fenomeno: a) la dispensazione di medicinali stupefacenti di fascia A (ad esempio morfina p.i.) su presentazione di una ricetta non valida a qualsiasi titolo, è sanzionata con il pagamento di una somma da € 100,00 a € 600,00; in buona sostanza, applicando la sanzione in misura ridotta, € 200,00; b) per la dispensazione di un medicinale veterinario, soggetto a prescrizione, in assenza di ricetta o con ricetta non valida (scaduta, priva di alcuni elementi ecc.) la sanzione va da € 10.329,00 a € 61.974,00 e, applicando la sanzione in misura ridotta, l'importo è di € 20.658,00 ventimilaseicentocinquattotto). L'elenco può proseguire con altri esempi: per il solo fatto che la dispensazione è disciplinata dalla normativa in materia di sostanze stupefacenti (D.P.R. 309/90), la vendita di una confezione di Tavor® in assenza di ricetta è punita meno severamente (€ 200,00 nella misura ridotta) rispetto allo stesso illecito riguardante, ad esempio, un Oki® (€ 600,00 nella misura ridotta). Non vi è dubbio che l'eventuale pericolosità della dispensazione, in assenza di prescrizione medica, di un farmaco a base di benzodiazepine è maggiore rispetto a quella determinata dalla stessa violazione ma nei confronti di un antifiammatorio. Ciononostante l'entità della sanzione è inversamente proporzionale alla pericolosità dell'illecito. La mancata detenzione in farmacia di una sostanza obbligatoria (tab. n. 2 F.U.), della Farmacopea Ufficiale vigente (con tutti gli aggiornamenti) o della Tariffa Nazionale sono sanzionate con la pena pecuniaria di € 20,66 (venti e sessantasei centesimi), applicando sempre la sanzione in misura ridotta. Se però manca un apparecchio obbligatorio (tab. n. 6 F.U.), ad esempio l'alcoolometro centesimale, la sanzione sale a € 3.098,74 nella misura ridotta (il doppio del minimo della sanzione in lire da tre a diciotto milioni). Meritano di essere citate anche le sanzioni accessorie, quelle cioè che seguono quella pecuniaria. è il caso della vendita di medicinale soggetto a prescrizione da rinnovare volta per volta (sanzione pecuniaria in misura ridotta di € 1.000,00 più, a discrezione dell'autorità, la chiusura della farmacia da quindici a trenta giorni). La medesima sanzione si applica anche alla vendita di medicinale soggetto a prescrizione limitativa in assenza dei requisiti del proscrittore (ad esempio: specializzazione non compresa tra quelle previste), sia che la ricetta sia ripetibile che non ripetibile. Stride allora l'irrazionalità di tali sanzioni con quelle previste in materia di stupefacenti, uguali per tutte le sezioni della tab. II, dalla morfina al lorazepam. Ulteriori esempi sono riportati nella tabella (assolutamente non esaustiva) riportata a fianco. Fin qui si è detto delle sanzioni amministrative, ma passando a quelle penali, ormai limitate solo a qualche ipotesi, appare eclatante l'applicazione, in sede processuale, delle pene di cui all'art. 443 del codice penale in caso di vendita, ma anche di semplice detenzione, di medicinali scaduti. La norma (codice penale del 1930) si riferisce ai medicinali guasti o imperfetti (reclusione da sei mesi a tre anni più la multa, con la riduzione fino a un sesto della pena in caso di ipotesi colposa ex art. 452 c.p.). L'assenza nell'ordinamento di una norma che sanzioni l'ipotesi, ben diversa da quella immaginata dall'estensore del codice penale, di medicinali scaduti (l'obbligo di indicare la scadenza su tutti i medicinali risale al 1983) determina quindi l'applicazione delle sanzioni penali di cui sopra anche al caso di una confezione di Aspirina® scaduta da un giorno. E, è giusto si sappia, ogni anno alcune centinaia di titolari e direttori di farmacie vengono denunciati, processati e condannati, salvo rarissime ipotesi, per questo reato. Ci preme citare un'altra paradossale situazione tratta da fatti realmente accaduti. La presenza in farmacia anche di una sola confezione di stupefacente non caricato nell'apposito registro, o scaricato e non ancora consegnato, ha determinato la denuncia ai sensi dell'art. 73 del D.P.R. 309/90 (produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti e psicotrope). Il reato ipotizzato, nella misura di cui al comma 5 per la lievità dell'illecito, prevede la reclusione solamente da uno a sei anni. Basterebbe una norma capace di distinguere, in base all'elemento psicologico del reato, il trafficante o lo spacciatore dal farmacista solamente distratto Qual è la causa di una simile situazione? Certamente dipende dalla stratificazione di norme approvate nell'arco di ottant'anni e aggiornate, quando lo sono state, senza tenere conto delle altre leggi (l'esempio dei medicinali per uso umano e veterinario è emblematico), ma soprattutto dall'assenza di un osservatorio attento della normativa che regola il servizio farmaceutico, avente l'obiettivo di dare credibilità al sistema anche negli aspetti negativi, come le infrazioni, senza dimenticare i principi che Cesare Beccaria ci ha voluto consegnare.

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