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03 febbraio 2011
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Rif. rivista Gennaio - Febbraio 2011

Cosa sono esattamente e quali le differenze tra i biosimilari e i tradizionali generici? Parliamone alla luce di un disegno di legge attualmente in discussione che prevede la non sostituibilità automatica dei farmaci biologici e il ruolo primario del medico nella scelta del prodotto

I farmaci possono essere distinti in due categorie sulla base del loro processo produttivo: i farmaci chimici, in genere a basso peso molecolare, ben definiti strutturalmente e facilmente standardizzabili su base strutturale; e i farmaci biologici, costituiti da molecole ad alto peso molecolare, meno caratterizzabili chimicamente, la cui standardizzazione richiede l'implicazione di metodi più complessi. Questi ultimi sono spesso prodotti mediante complessi processi di purificazione e sempre in maggior misura anche mediante l'impiego della tecnologia del DNA ricombinante (tecnica di biologia molecolare utilizzata per manipolare e clonare il DNA); per questo motivo sono definiti farmaci biotecnologici. A partire dagli anni '80 i progressi nel campo della biologia molecolare hanno portato alla produzione di alcuni farmaci di tale categoria molto noti, come l'insulina ricombinante, l'ormone della crescita umano e l'eritropoietina. Da allora numerosi prodotti biotecnologici sono stati registrati e immessi nei mercati mondiali, rappresentando una nuova frontiera per il trattamento di patologie invalidanti e complesse che spesso costituiscono un limite per la vita di relazione dei pazienti. La grande maggioranza dei farmaci biologici è costituita da prodotti dedicati al trattamento di varie patologie in cui il sistema immunitario gioca un ruolo fondamentale. Questi ultimi sono definiti farmaci "immunobiologici", cioè medicinali biologici in grado di interagire con il sistema immunitario dell'ospite. Tra questi sono inclusi, ad esempio, le immunoglobuline, i vaccini, gli anticorpi monoclonali e policlonali (umani e animali), le interleuchine e gli allergeni. In particolare, sono stati immessi sul mercato numerosi anticorpi monoclonali per il trattamento di carcinoma del colon, linfoma, tumore della mammella, morbo di Chron, sclerosi multipla, psoriasi, artrite reumatoide, trapianto d'organo e se ne prevede un utilizzo sempre più prossimo anche per patologie diffuse e croniche come ad esempio l'ipertensione. Come agiscono queste molecole sulla base della risposta immunitaria? Quando una molecola estranea (antigene) fa il suo ingresso nell'organismo, ne stimola la risposta immunitaria mediante l'attivazione di linfociti B, le molecole deputate alla produzione di anticorpi che sono capaci di legare l'antigene. Il legame con l'anticorpo può ridurre/inattivare l'attività biologica dell'antigene (specialmente se si tratta di una tossina) e "marcandolo" ne provoca la distruzione da parte di altri elementi del sistema immunitario. Sfruttando dunque una naturale difesa dell'organismo, si ottiene una terapia mirata verso bersagli specifici che hanno un ruolo chiave nei meccanismi responsabili dell'insorgenza e nella progressione della malattia. Tuttavia, queste molecole non sono prive di effetti collaterali e possono provocare reazioni di tossicità dipendenti dalla natura del farmaco, dall'interazione di quest'ultimo con l'assunzione concomitante di più farmaci, oltre che dallo stato immunitario del paziente.

La questione del brevetto

Come gli altri farmaci anche la prima generazione di biologici è suscettibile alla scadenza del brevetto. Questo significa che i cosiddetti farmaci biologici diventeranno "biogenerici", conosciuti più comunemente come farmaci biosimilari. Allo stato attuale i farmaci biosimilari sono definiti dall'elevata somiglianza rispetto ai prodotti originali; si tratta di capire cosa questo voglia dire e quanti test siano necessari per valutare un biosimilare prima che venga immesso sul mercato. Queste strutture sono molto difficili da riprodurre in maniera identica anche avendo a disposizione la molecola originale: minuscole differenze possono di fatto risultare in una resa farmacologica debole. Per produrre queste molecole devono essere utilizzate delle colture cellulari, aspetto che ricopre un ruolo fondamentale nella determinazione delle caratteristiche del farmaco; questo comporta che vengano ereditate molte più variabili rispetto ai metodi chimici di sintesi farmaceutica, richiedendo evidentemente maggiori controlli sulla qualità, sulla sicurezza e sull'efficacia del prodotto. Negli Stati Uniti, la Food and Drug Administration (FDA) sta raccogliendo le opinioni degli esperti per decidere in merito alla tematica e capire come valutare correttamente questi nuovi farmaci (sebbene l'approvazione dei biosimilari fosse proprio uno dei punti cardine della riforma sanitaria di Obama). In Europa i biosimilari hanno già fatto breccia: l'Agenzia Europea del Farmaco (EMA) è stata la prima a pubblicare linee guida che rispondano alla necessità di una diversa procedura di approvazione, ai fini della commercializzazione di questi farmaci rispetto ai generici. Alcuni si aspettano che la natura e l'estensione dei test clinici riservati ai biosimilari dipenda strettamente dalla classe della molecola che dovrà essere copiata; per esempio una molecola relativamente semplice come l'insulina dovrebbe richiedere molti meno test rispetto a una proteina che porta numerose modificazioni chimiche. La Società Italiana di Farmacologia (SIF) ritiene necessari gli studi preclinici prima che un farmaco biosimilare entri nella sperimentazione (cosa che di fatto non è assolutamente richiesta per i farmaci generici). Oltre a ciò, la SIF richiede che vengano condotti studi comparativi di fase I con il prodotto originale, per valutare le differenze farmacogenetiche; e di fase III per valutare i possibili effetti avversi. Quali pazienti possono essere immediatamente considerati candidati per il trattamento con i biosimilari? A chi spetta il compito di decidere per la sostituzione del biologico con il biosimilare e quando può avvenire in modo automatico? è possibile effettuare la sostituzione di un biosimilare con un altro e con quali ripercussioni? Senza la risposta a questi interrogativi certamente il quadro non può essere chiaro.

La somministrazione dei biologici

I biologici sono farmaci relativamente giovani. La gran parte di essi non viene somministrata in ospedale, bensì a casa del paziente da parte di infermieri. Si tratta, infatti, di farmaci che richiedono una sorveglianza al momento della somministrazione e si pensa che in questo il farmacista potrà presto avere un ruolo non solo limitato alla dispensazione. Tuttavia, è ancora presto per tracciare dei profili rischio/beneficio: in modo particolare mancano dati sull'impiego a lungo termine, sull'efficacia (sarebbe necessario capire per quanto tempo i soggetti rispondano positivamente alla terapia) e sulla sicurezza (possono questi farmaci provocare un blocco del sistema immunitario e una conseguente degenerazione neoplastica?). Anche in campo biologico definire i generici molecole di serie B che costano poco e non hanno la stessa validità dei farmaci originali sarebbe sbagliato e nocivo per la sostenibilità del sistema sanitario; come ugualmente lo sarebbe arrivare a dei risultati affrettati ai fini della commercializzazione.

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