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11 luglio 2011
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Rif. rivista Giugno - Luglio 2011

Da poco nominato presidente dell'Associazione delle industrie produttrici dei farmaci per l'automedicazione, Stefano Brovelli offre ai lettori di Nuovo Collegamento un'analisi del settore e delle strategie vincenti per la farmacia. Perché a vincere è il binomio farmacista/farmaco.

In Bayer da più di 20 anni, attualmente responsabile del settore Otc dell'azienda, Stefano Brovelli ha l'esperienza che serve per guidare al meglio l'Anifa, l'Associazione, aderente a Federchimica, che rappresenta le aziende produttrici di medicinali per l'automedicazione. "Ne fanno parte solo le aziende che commercializzano farmaci Otc - precisa Brovelli - perché in Italia, tra i medicinali senza obbligo di prescrizione esistono anche i farmaci Sop, ovvero quelli che non possono accedere ad una comunicazione diretta con il cittadino e che non sono rappresentati dall'Anifa".

Pensa che questa differenziazione sia chiara agli occhi del pubblico?

Questa distinzione va superata. Si tratta di un'anomalia tutta italiana - che ci allontana dal dettame europeo - che crea confusione sia tra il pubblico, sia tra gli operatori. Noi auspichiamo che anche in Italia si possa dare finalmente vita ad un'unica classe di medicinali per l'automedicazione, in modo da allinearsi finalmente a quanto previsto dalle norme UE, semplificarne il riconoscimento e ridurre i motivi di confusione.

Esiste davvero molta confusione?

Purtroppo, la confusione è ancora molta. Non solo tra Otc e Sop: alcuni confondono ancora i farmaci senza obbligo di ricetta con quelli in fascia C, per il semplice fatto che entrambi non sono rimborsabili. Fortunatamente, l'introduzione del bollino di riconoscimento per gli Otc ha rappresentato un grande passo in avanti: l'Italia è l'unico Paese in Europa ad avere introdotto il bollino.

Il bollino aiuta soprattutto a distinguere gli integratori dagli Otc.

In questo senso, il bollino rappresenta non solo una garanzia di riconoscimento, ma anche di qualità. Viviamo in un mondo nel quale è letteralmente esplosa l'offerta di salute ai cittadini. Tutti competono legittimamente sul mercato, ma è bene ricordare che solo i farmaci (in questo caso gli Otc) possono vantare comprovati profili di sicurezza ed efficacia terapeutica e sono autorizzati dall'Agenzia del Farmaco, ed in questo senso il bollino simboleggia questi contenuti e fa capire al paziente quale genere di prodotto si appresta ad usare.

Tuttavia, anche quando la qualità non manca, molte aziende preferiscono registrare i nuovi prodotti come integratori, piuttosto che come farmaci Otc. Che linea segue Anifa in questo senso?

Deve essere la singola azienda a valutare le proprie strategie. Di certo, in Italia non c'è un ambiente particolarmente favorevole allo sviluppo del farmaco di automedicazione. Le procedure per immettere nel mercato un nuovo integratore sono più semplici rispetto a quelle previste per un medicinale Otc. Inoltre, e questo è un punto importante, i tempi necessari alla commercializzazione sono più rapidi.

Servirebbe una semplificazione?

Più che una semplificazione, per dare impulso al settore occorrerebbe una politica che realmente ne valorizzasse le specifiche peculiarità. Sarebbe ad esempio molto interessante se ci fossero delle corsie preferenziali per i farmaci Otc, differenziandone le procedure di registrazione. Del resto, si tratta di farmaci che hanno ormai decenni di vita alle spalle. Detto questo, non va dimenticato che l'attuale sistema, che prevede un forte controllo da parte dell'Aifa sulla registrazione, sulla comunicazione e su ogni aspetto concernente il medicinale Otc, fornisce una serie di garanzie al cittadino e agli operatori sanitari, comprovando la qualità del prodotto. Il punto è che spesso non ci è possibile valorizzare al meglio questi aspetti, portarli a conoscenza del cittadino, aiutare il farmacista a comunicarli e renderli evidenti. è quindi importante rafforzare la consapevolezza di ciò che è farmaco e superare le confusioni tra ciò che è farmaco Otc e ciò che non lo è. Una delle politiche dell'Associazione è proprio quella di rafforzare la consapevolezza rispetto al bene farmaco e di renderlo riconoscibile.

Il farmacista ha un ruolo fondamentale in questo. Potrebbe fare qualcosa di più per valorizzare il bene farmaco?

Gli spazi per comunicare con il paziente sono molti. Attraverso due o tre domande, il farmacista è in grado di capire se il paziente rientra nel target dell'automedicazione e, di conseguenza, consigliare il farmaco migliore valorizzandolo per le sue caratteristiche di efficacia e sicurezza. Gli Otc sono i farmaci del farmacista e coprono un'ampia serie di patologie e disturbi. Da poco, con l'introduzione come farmaci da banco anche dei gastroprotettori, la gamma dei disturbi che possono essere affrontati attraverso l'automedicazione è cresciuta.

Spesso, il consumatore si rivolge al farmacista con già in mente un brand.

Anche in questo caso il farmacista può interloquire con il paziente, ascoltandolo e consigliandolo al meglio. Può valorizzare la convinzione del cliente quando questa è corretta, oppure proporre un'alternativa quando ve ne siano di migliori.

Può essere che il farmacista non veda di buon occhio il prodotto pubblicizzato perché troppo commerciale?

Talvolta questo può accadere. Può succedere che il farmacista veda nella pubblicità una sorta di delegittimazione del proprio consiglio. Tuttavia, il farmacista non dovrebbe vedere male il fatto che gli sia chiesto uno specifico prodotto di marca. Non deve pensare che la pubblicità deleghi il farmaco Otc al mercato, perché non è un comune bene di consumo e, quindi, deve essere comunque gestito attraverso un professionista. Il fatto che il cliente chieda un prodotto preciso non è una forma di scavalcamento, dettata dalla pubblicità, ma è il primo passo per interagire con il cliente. In fondo, la pubblicità ha un ruolo di avvicinamento del cliente al farmaco Otc, avendo una funzione specifica: quella di memorizzazione del brand. L'obiettivo della pubblicità è quello di comunicare un marchio e spiegare in quale situazione lo si può utilizzare.

Quindi, la pubblicità ha un ruolo importante anche nel rafforzare il consiglio?

Certo. E io sono convinto che i margini della pubblicità per comunicare al pubblico un farmaco Otc, legarlo ad un disturbo e avvicinarlo al consiglio del farmacista siano ancora molti. Per esempio, se esistesse un packaging diverso, questo potrebbe rappresentare un grande aiuto per il farmacista. Pensi se sulla confezione, oltre al nome del prodotto e del principio attivo, fosse evidenziato anche il disturbo per il quale il prodotto è indicato. Una maggiore possibilità di chiarezza, sia nella confezione, sia nei contenuti dei messaggi pubblicitari aiuterebbe molto. Tuttavia, spesso si teme che l'essere troppo promozionali comporti dei limiti. Quando la pubblicità è troppo chiara, si pensa che sia troppo commerciale, ma non è cosi.

Il farmacista sceglie i prodotti da proporre al pubblico al fine di valorizzare la propria offerta. Per farlo, deve differenziare e scegliere.

In questo campo, il marchio viene in suo aiuto. Se in molti settori un marchio è sinonimo di qualità, nella salute questo è ancora più importante. Il farmacista dovrebbe essere contento di proporre un prodotto a marchio, che non solo è indice di qualità ma anche di ricerca, sviluppo, innovazione e continuo aggiornamento scientifico per tutti gli operatori del settore. Le persone non vogliono risparmiare un euro o cinquanta centesimi sulla salute. Del resto, in Italia si spendono solo 37 euro all'anno pro capite per l'automedicazione. I farmaci per l'automedicazione costano molto poco: non mi sembra che sia in questo campo che occorre cercare il risparmio.

Parlando di prezzi e di risparmi veri o presunti, come vede l'Anifa i nuovi canali distributivi dell'automedicazione: corner nella Gdo e parafarmacie?

Noi siamo assolutamente a favore del binomio farmaco/farmacista. Quindi, per noi il canale di vendita viene dopo: la nostra posizione è che ci debba sempre essere il farmacista a distribuire il farmaco. Il valore aggiunto che offre il farmacista è fondamentale anche per il futuro: si andrà sempre più nella direzione dell'autocura e, se l'autocura sarà assistita, avremo un futuro migliore e più garantito.

Qui entra in campo anche il ruolo del medico: più autocura equivale a dire meno ricorso ai medici di medicina generale.

La popolazione italiana aumenta per effetto dell'immigrazione; la popolazione italiana invecchia; si stima che nel prossimo futuro non ci saranno abbastanza medici per coprire l'attuale fabbisogno. Considerati questi tre aspetti, se si continua ad impegnare il medico per il 60-70% delle visite a patologie minori che possono essere curate attraverso l'automedicazione, andiamo inutilmente ad intasare il canale.

Come vede il medico il ricorso all'automedicazione?

Il medico ha chiaro quello che è prescrivibile in regime Ssn e quello che non lo è. L'Anifa deve lavorare proprio per aumentare la consapevolezza del medico sull'automedicazione. Se i medici conoscessero meglio questi prodotti potrebbero indirizzare il paziente all'autocura nei casi di patologie minori. Questo scarso indirizzamento all'autocura deriva anche dalle scelte strategiche dell'intero sistema, che non ha mai puntato sull'automedicazione, come invece è stato nel Regno Unito. In Italia non si è cercato di spingere l'automedicazione come mezzo per risparmiare tempo e risorse. Se il medico potesse concentrarsi di più sulle patologie di maggiore rilevanza, delegando al binomio farmaco/farmacista quelle minori, si otterrebbero benefici nella gestione delle risorse.

Tornando ai canali distributivi, non crede che quando i corner o talune parafarmacie non risultano in grado di trasmettere un'adeguata idea di professionalità, di assortimento o di gestione improntata su parametri di sicurezza e qualità, questo possa portare a non valorizzare il bene farmaco?

Certamente. Ma questo vale in ugual misura anche per le farmacie. Qualche volta anche le farmacie non sono adeguate. La farmacia che riesce a tenere alta l'immagine potrà competere sul mercato, gli altri sono destinati a soccombere. Pensi a quei punti vendita che puntano tutto sul taglio prezzo: sono perdenti. Diverse indagini di mercato confermano la mia idea: il pubblico, rispetto al farmaco, non cerca il risparmio, bensì la qualità, il supporto, un'esposizione chiara e corretta. Chi non sarà in grado di trasmettere la qualità della propria proposta non potrà competere.

L'avvento degli altri canali ha portato ad un miglioramento della proposta delle farmacie?

Ha determinato, senza dubbio, un aumento dell'esposizione dei farmaci. Purtroppo, spesso nell'esposizione si è puntato sul prezzo e non sui medicinali Otc. Invece, per il pubblico, trovare esposto un prodotto conosciuto, significa riconoscere il punto vendita in termini di qualità e di offerta. E poi, l'avvento dei nuovi canali ha stimolato la concorrenza, l'inventiva delle farmacie e la calmierazione dei prezzi: tutte cose positive per il cittadino.

Quale potrebbe essere il suo consiglio alle farmacie?

La strategia centrale è data da una buona esposizione, da un punto vendita funzionale e orientato al servizio e da un'assistenza al pubblico di qualità. Quanto ai prezzi, essendo liberi, la farmacia deve imparare a determinare il giusto prezzo in funzione di un giusto ricarico, non di uno sconto. A mio avviso, il taglio prezzo è un abbaglio. Il mio consiglio è di non sovrastimare il fattore prezzo e porre invece maggiore attenzione all'accessibilità dei prodotti, e a quel patrimonio professionale e tradizionale che appartiene alla farmacia e che difficilmente (se ben coltivato) potrà esserle portato via.

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